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Indietro Savoia, avanti Lumumba

novembre 27, 2007

savoia

Ieri sera, confinati a casa a dare da mangiare a Paco ogni due ore, fargli le iniezioni, mettergli e togliergli il collare elisabettiano, abbiamo passato il tempo a fare zapping fra Porta a Porta e Matrix (con una certa preferenza per la seconda trasmissione dopo un po’).  Da una parte era ospite Sua Altezza Reale (come vuole essere chiamato) Emanuele Filiberto di Savoia, la cui unica virtù che siamo riusciti ad apprezzare è stata quella di avere il coraggio di andare a perorare la richiesta sua e della sua famiglia di un risarcimento di 260 milioni di euro da parte dello Stato italiano (cioè noi). Era solo (con il suo legale) contro tutti: giornalisti, storici, onorevoli, filosofi della politica, direttrici patinate, presidenti emeriti della Repubblica e persino suoi parenti stretti che hanno fatto pervenire in trasmissione fax al vetriolo. Addirittura il vellutatissimo Bruno Vespa, davanti alle ottuse tiritere del giovane principe, a un certo punto ha quasi perso la pazienza. Noi abbiamo avuto il forte sospetto che quello di Emanuele Filiberto non fosse coraggio, ma arroganza condita da un fastidioso ricorso a luoghi comuni buoni per tutte le evenienze.
Dall’altra parte, ospite di Enrico Mentana, Patrick Lumumba il congolese residente a Perugia, sul quale si è abbattuta tutta l’incompetenza di certi inquirenti del nostro paese. Arrestato in seguito alle dichiarazioni di Amanda Knox, che se non sbagliamo al tempo era alla sua quinta versione, è stato prelevato dagli agenti nella sua abitazione solo due ore dopo le accuse della ragazza. Nessuno aveva compiuto uno straccio di indagine, non c’era il benché minimo indizio a suo carico, nessuno si era perorato di chiedergli se aveva un alibi né di controllarlo, niente di niente. Eppure è stato tenuto in carcere per giorni, mentre il gip non era sfiorato dal minimo dubbio e redigeva i verbali senza nemmeno ricorrere alla forma dubitativa. Ed è lecito chiedersi se Lumumba sarebbe stato scarcerato, se non fosse apparsa all’orizzonte la figura di un nuovo colpevole. Insomma, Lumumba avrebbe tutti i motivi per sparare a zero sullo Stato italiano e a chiedere, lui sì, un sacrosanto risarcimento. E invece era lì, mite e ragionevole, ringraziava Dio di essere venuto fuori dalla vicenda e rifutava di imputare quello che gli era accaduto a una forma di razzismo. “Non è un problema che conosco, non mi è mai successo”, continuava a ripetere al direttore che insiteva sul tema. Patrick Lumumba viene da un paese che ha lottato duramente per liberarsi da una monarchia (quella belga). Emanuele Filiberto, invece, è l’erede di quella dinastia che fuggì dal paese quando le cose si misero al brutto. Dev’essere per questo.